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Jolly Rosso – Tracce inequivocabili di avvelenamento

Amantea è un paese di circa 13mila abitanti. La sua fama non è di luogo ideale per le vacanze, nonostante sorga su una spettacolare baia calabrese affacciata sul mare Tirreno, ma a causa dei rapporti della Commissione Parlamentare d'inchiesta sui rifiuti tossici che nel novembre 2004 si era occupata delle inchieste sui naufragi delle cosiddette “navi dei veleni”, in particolare della nave della società Messina di Navigazione, la “Jolly Rosso”.
Quasi un ventennio di indagini, verifiche, accertamenti, depistaggi, morti sospette, che hanno portato gli inquirenti ben oltre i confini nazionali fino in Somalia e sulle tracce dell'inchiesta che stava svolgendo, nei giorni in cui è stata uccise con l'operatore Miran Hrovatin, la giornalista italiana Ilaraia Alpi.
E in tali indagini i nomi coinvolti sono stati e sono molti, fra cui quello di Giorgio Comerio, una persona dotata di capacità sorprendenti nel campo dell'ingegneria navale, ma che le inchieste stesse indicano come coinvolto ad alto livello nella vicenda dei rifiuti radioattivi.
Nei fatti, diversi rapporti ufficiali hanno sempre negato la presenza di rifiutri radioattivi nella zona in questione, in quella zona che una volta era conosciuta niente meno che come “perla della Calabria”. Eppure in questa zona negli anni abbiamo assistito ad un aumento “inspiegabile” del tasso di malattie tumorali tipiche dell'avvelenamento radioattivo, tanto cher all'ospedale di Cosenza, quando giunge qualcuno che accusa sintomi particolari, ormai medici e infermieri lo accolgono con esclamazioni del tipo “Eccone un altro da Amantea…”
E nella zona della spiaggia di Formiciche, ad Amantgea appunto, dal 14 dicembre 1990, data del naugrafio dela Jolly Rosso, si trova una cavaq dismessa, a pochi chilometri dal litorale, lungo una strada che coinduce a Serra D'Aiello, dove sono stati segnalati pesanti tassi di residui radioattivi che, secondo misurazioni ufficiali, hanno causato l'aumento della temperatura del terreno di almeno 6° C.
Le immagini satellitari rivelano una macchia rosso scuro nella stessa zona dove i tecnici dei Vigili del Fuoco e dell'Arpacal hanno fattonotaare un aumento della radioattività fino a sei volte superiore rispetto ai valori di base consentiti dalla legge per la salvaguardia della sallute.
Ma c'è di più: secondo quanto dichiarato dal Procuratore di Paola, Bruno Giordano, si tratterrebbe di “radionuclidi” non presenti in natura di Cesio 137 ovvero prodotto inequivolabile della lavorazione nucleare e quindi di fatto rifiuti e scorie di tale lavorazione. Non sono, come alcuni hanno ipotizzato, prodotti derivati dall'incidente della cdentrale ucraina di Chernobyl, cxhe si sono depositati solo in superficie. Quella macchia rosso scuro, larga pochi metri, è un disastro ambientale che non potrà essere risolto tanto facilmente. Intanto, dal ministero dell'Ambiente, nessuna risposta concreta.
La presenza di sostanze radioattive vicino ad Amantea non è solo un problema ambientale, ma la conferma che in questo territorio i traffici di rifiuti nucleari sono avvenuti. Non è una leggenda metropolitana, come qualcuno ancora oggi si ostina a sostenere.
In pochi hanno ascoltato gli avvertimenti e le denuncne le del comitato di Amantea, intitolato a Natale De Grazia, il capitano della marina morto misteriosamente mentre indagava sulle navi dei veleni e sulla cava dove sarebbe sepolto il materiale radioattivo, a circa 300 metri dal greto del fiume Oliva, in una zona chiamata “la Foresta” dove per diversi anni gli investigatori hanno cercato inutilmente il carico della Jolly Rosso.
Le carte non mentono, e oggi sono molti gli indizi e le prove che conducono verso il corso del fiume Oliva, ma sembra che le scorie radioattive siano sparite nel nulla.
All'epoca delle prime indagini, nel fiume si era trovato di tutto, metalli pesanti e veleni pericolosissimi, prove inconfutabili che il litorale calabrese era utilizzatocome una vera e propria discarica. Numerosi i campioni estratti e analizzati nei quali erano presenti tracce conaltissimi livelli di mercurio e di altri resti dell'industria chimica. Un lavoro incredibile, quello delle mafie ambientali in Calabria, fatto con cura, organizzazione.
E come certamente si può immaginare, nella zona nessuno parla quando si fanno domande su ecomafia e ndrangheta. Si muore, ma non si parla. Le navi dei veleni, “contenitori a perdere” per nascondere scarti industriali…

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