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3 settembre 1982 – Trent'anni fa l'omicidio Dalla Chiesa

Il 3 settembre 1982 il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie, Emanuela Setti Carraro, cadevano vittime della furia omicida della mafia, a Palermo, e con loro anche l'agente di scorta Domenico Russo.
Carlo Alberto Dalla Chiedsa era figlio di un ufficiale dei carabinieri, Romano Dalla Chiesa, che aveva preso parte alla lotta contro la criminalità organizzata portata in Sicilia da Cesare Mori, il “Prefetto di ferro” nominato da Mussolini.
Carlo Alberto nasce a Saluzzo il 27 settembre 1920. Entra giovanissimo nell'Arma e come primo incarico, nel 1940, comanda la caserma di S.Benedetto del Tronto, dove rimane fino all'8 settembre '43. A causa del suo rifiuto a collaborare nella caccia ai partigiani, viene inserito nella lista nera dai nazisti, ma riesce a fuggire prima che le SS riescano a catturarlo. Dopo l'armistizio entra nella Resistenza, opera in clandestinità nelle Marche, dove organizza i gruppi per fronteggiare i tedeschi. Nel dicembre del 1943 entra fra le linee nemiche con le truppe alleate.
Promosso capitano, indaga sulla scomparsa (poi rivelatasi omicidio) del sindacalista Placido Rizzotto e  arriva ad incriminare l'allora emergente boss della mafia Luciano Liggio, mentre al posto di Placido Rizzotto si insedia Pio La Torre, in seguito anch'egli ucciso dalla mafia. Dopo il periodo in Sicilia, è trasferito a Firenze, successivamente a Como e quindi al comando della Brigata di Roma.
Nel 1964 passa al coordinamento del nucleo di polizia giudiziaria presso la Corte d'appello di Milano, che poi unificò e diresse come nuovo gruppo.
Dal 1966 al 1973 è nuovamente in Sicilia con il grado di colonnello, al comando della legione carabinieri di Palermo, dove avvia indagini molto particolari contro Cosa Nostra, che nel 1966 e 1967 sembra aver abbassato i toni dello scontro che si era verificato nei primi anni '60.
Nel 1969 si riaccende la guerra di mafia, specie con la strage di Viale Lazio, nella quale viene ucciso il boss Michele Cavataio. Dalla Chiesa intuisce la situazione che andava configurandosi, con scontri violenti per giungere al potere tra elementi mafiosi di una generazione, pronti a lasciare sulla strada cadaveri eccellenti.
Nel 1970 svolge indagini sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, il quale poco prima aveva contattato il regista Francesco Rosi promettendogli materiale che lasciava intendere scottante sul caso Mattei. Le indagini sono svolte in collaborazione fra i Carabinieri e la Polizia, sotto la direzione di Boris Giuliano, anch'egli in seguito ucciso dalla mafia mentre iniziava ad intuire le connessioni tra Mafia e alta finanza. Nel 1971 Dalla Chiesa indaga anche sulla morte del procuratore Pietro Scaglione.
Il metodo nuovo di dalla Chiesa consiste nell'utilizzo di infiltrati, in grado di fornire elementi utili per creare una mappa del potere di Cosa Nostra, arrivando a conoscere non solo gli elementi di basso livello, ma anche gli intoccabili Boss. Il risultato di queste indagini è il “Dossier 114”, nel quale si fecero per la prima volta i nomi di Gerlando Alberti e Tommaso Buscetta come elementi centrali di molti fatti di sangue, oltre che quelli di Luciano Liggio e Michele Greco. Gran parte dei nomi esposti nel dossier erano però sconosciuti all'opinione pubblica e alla magistratura.
Nel 1973 è promosso generale di brigata, nel 1974 è comandante della regione militare di nord-ovest, con giurisdizione su Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria. Si trova così a dover combattere il crescente numero di episodi di violenza delle Brigate Rosse, e al loro crescente radicarsi negli ambienti operai. Per fare ciò, utilizza i metodi che già aveva sperimentato in Sicilia, infiltrando alcuni uomini all'interno dei gruppi terroristici al fine di conoscere perfettamente gli schemi di potere del gruppo.
Nell'aprile del 1974 viene rapito dalle Brigate Rosse il giudice genovese Mario Sossi, con il quale le BR volevano barattare la liberazione di 8 detenuti della banda “22 ottobre”.
Ad Alessandria, una rivolta dei detenuti, guidata dal gruppo Pantere Rosse, che avevano preso degli ostaggi, viene stroncata dal procuratore generale di Torino, Carlo Reviglio Della Veneria e dal generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Dopo aver selezionato dieci ufficiali dell'arma, dalla Chiesa creò nel maggio del 1974 una struttura antiterrorismo denominata Nucleo Speciale Antiterrorismo con base a Torino.
Nel settembre del 1974 il Nucleo cattura a Pinerolo Renato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco e fondatori delle Brigate Rosse, grazie anche alla determinante collaborazione di Silvano Girotto, detto “frate mitra”.
Sempre nel '75, i Carabinieri di Dalla Chiesa intervengono nel rapimento di Vittorio Gancia, uccidendo nel conflitto a fuoco la malvivente Margherita Cagol.
Nel 1976 il Nucleo Antiterrorismo viene sciolto a seguito delle critiche ricevute per i metodi utilizzati nell'infiltrazione fra i brigatisti e sulla tempistica dell'arresto di Curcio e Franceschini.
Nel 1977 il generale Dalla Chiesa è nominato Coordinatore del Servizio di Sicurezza degli Istituti di Prevenzione e Pena, e promosso generale di divisione con poteri speciali per decreto governativo circa la lotta contro il terrorismo, nonché responsabile di un nuovo reparto operativo speciale alle dirette dipendenze del ministro dell'interno Virginio Rognoni, con particolare riferimento alla lotta alle Brigate rosse e alla ricerca degli assassini di Aldo Moro.
Dopo la morte di Moro, Dalla Chiesa decide di stringere il cerchio intorno ai vertici delle Brigate Rosse. In una perquisizione successiva a due arresti (Lauro Azzolini e Nadia Mantovani) in via Monte Nevoso a Milano, vengono ritrovate alcune carte riguardanti Aldo Moro, fra cui il celebre presunto memoriale dello stesso Moro. Nel 1979 è trasferito nuovamente a Milano per comandare la prestigiosa Divisione Pastrengo sino al dicembre 1981.
Particolarmente importanti, furono i successi contro le Brigate Rosse ottenuti a seguito della irruzione in via Fracchia, e l'arresto di Patrizio Peci e Rocco Micaletto.
Il 16 dicembre 1981 è promosso Vice Comandante Generale dell'Arma, massima carica per un ufficiale dei Carabinieri (all'epoca il Comandante Generale dell'Arma doveva necessariamente provenire, per espressa disposizione di legge, dalle fila dell'Esercito). Resta fino al maggio 1982, quando viene nominato Prefetto di Palermo con poteri particolari, e posto contemporaneamente in congedo dall'Arma. Il tentativo del governo era quello di ottenere contro Cosa Nostra gli stessi risultati ottenuti contro le Brigate Rosse.
A Palermo Dalla Chiesa denuncia ripeetute volte la mancanza di sostegno da parte dello stato, come  ebbe occasione di sottolineare in una celebre intervistya concessa al giornalista Giorgio Bocca.
Intanto comincia ad ottenere i primi successi investigativi, con l'arresto di una decina di 10 boss corleonesi, e con la successiva scoperta di una grande raffineria di eroina.
Nel giugno del 1982 Dalla Chiesa riesce a sviluppare, come già aveva fatto in passato, una sorta di mappa dei boss della nuova mafia, che chiama “Rapporto 162”, quindi inizia una lunga serie di arresti e indagini che hanno come obiettivo quello di appurare le collusioni fra politica e Cosa Nostra.
Alle ore 21.15 del 3 settembre del 1982, la A112 bianca sulla quale viaggiava il prefetto, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro, fu affiancata, in via Isidoro Carini, a Palermo, da una BMW dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashnikov AK-47 che uccidono il prefetto e la giovane moglie.
Nello stesso momento anche l'auto con a bordo l'autista e agente di scorta, Domenico Russo, veniva affiancata da una motocicletta e anche Russo cade sotto una raffica.
Per il triplice omicidio Dalla Chiesa-Setti Carraro-Russo sono stati condannati all'ergastolo, come mandanti, i vertici di Cosa Nostra, nelle persone di Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci.
Nel 2002, sono stati condannati in primo grado come esecutori dell'attentato, Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia entrambi all'ergastolo, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci a 14 anni di reclusione ciascuno.
Il 5 settembre al quotidiano “La Sicilia” arriva una telefonata anonima che annuncia: “L'operazione Carlo Alberto è stata portata a termine“.

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