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Molto forte, incredibilmente vicino (voto 7)

Molto forte, incredibilmente vicino (Extremely Loud & Incredibly Close, 2005) è il titolo del secondo romanzo dell’americano Jonathan Safran Foer (1977). Da quelle pagine il regista d’origine inglese Stephen Daldry, specialista in passaggi dal libro allo schermo o, comunque, di opere a forte contenuto letterario (Billy Elliot – 2000, The Hours – 2002, The Reader – A voce alta – 2008), ha tratto un film molto curato nelle immagini, professionale nelle interpretazioni, ma sostanzialmente gelido. Il tema è quello dell’elaborazione di un lutto, quello cui deve fare fronte il novenne Oskar Schell che ha perso il padre l’11 settembre 2001, nel crollo delle Torri Gemelle. Il ragazzino, incapace di sopportare il senso di colpa per non aver risposto alle ultime telefonate del genitore che stava per lanciarsi nel vuoto e venuto casualmente in possesso di una chiave contenuta in un vaso nascosto sopra un armadio, inizia a girare per le strade di New York alla ricerca della serratura in grado di far funzionare quel pezzetto di metallo. A un certo punto gli terranno compagnia il nonno, un vecchio d’origine tedesca che ha perso la parola dopo i terribili bombardamenti cui fu sottoposta Dresda fra il 13 e il 15 febbraio del 1945. Rimaneggiato a uso filmico, il romanzo perde buona parte del fascino che gli viene dalla serie di strani incontri fatti dal giovane durante la sua assurda ma irresistibile ricerca. Ne deriva un film professionalmente preciso ma freddo quanto un racconto sostanzialmente privo di anima.

(umberto@uerre.it)

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