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L’industriale (voto 7)

L’industriale di Giuliano Montaldo è un film schizofrenico. Annunci, interviste e trailer puntavano sul tema del lavoro, visto dalla parte degli imprenditori, in tempo di globalizzazione e crisi. In realtà, anche se l’avvio del film muove in questa direzione, l’opera svolta quasi subito nel melodramma sentimentale per modificare il percorso, ancora una volta, con un finale noir. E’ possibile che nelle intenzioni del regista ci fosse il ricordo di alcuni fra i primi film di Michelangelo Antonioni, Cronaca di un amore (1950) e Le amiche (1955), ove storie d’amore svelavano inquietudini e nefandezze di una borghesia all’epoca trionfante. In questo senso si potrebbe anche leggere l’uso di tonalità cromatiche marcescenti, da vecchio dagherrotipo. Solo che questa storia di un piccolo industriale sull’orlo del fallimento, la cui crisi personale è aggravata dal sospetto del tradimento della moglie, finisce col pencolare sul versante psicologico più che su quello sociale. In questo modo i temi della crisi economica e dei triboli della piccola e media industria diventano uno sfondo quasi neutro. In altre parole il lato politico del film, oltre ad essere abbozzato in maniera sommaria (si veda l’incontro con il direttore della banca), diventa un semplice arredo che poco ha a che fare con il corpo dell’opera. Quest’ultima ruota quasi per intero su una vicenda sentimental – delinquenziale cui toglie pathos la fissità interpretativa di Pierfrancesco Favino, mentre Carolina Crescentini riesce a rendere partecipante e credibile una sorta di Lucia Bosè o, se si preferisce, di Eleonora Rossi Drago rilette a distanza di mezzo secolo abbondante. In conclusione è un film professionalmente solido, ben costruito e un po’ vecchiotto.
(umberto@uerre.it)

 

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