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Alluvioni e nubifragi: la mappa invisibile dei fiumi “tombati”

Gli effetti devastanti di un’urbanizzazione selvaggia.

Decisamente troppi sono i danni a persone e cose dovuti a nubifragi, alluvioni, smottamenti e bombe d’acqua in Italia. Complice un cambiamento climatico che si rende col tempo sempre più evidente, emerge inquietante una mappa, spesso invisibile, che si sovrappone all’immagine del “bel Paese”, quella del nostro immaginario collettivo: la rete dei fiumi cosiddetti “tombati” che in Italia si estende per circa 12000 Km.

L’invenzione dei fiumi “tombati”

L’invenzione di mettere in una “tomba” fiumi, torrenti e corsi d’acqua in generale è dei Francesi. Precisamente degli ingegneri del periodo napoleonico. Furono loro per primi a pensare di coprire e deviare piccoli fiumi che scorrevano all’interno delle città. I motivi a quel tempo erano esclusivamente sanitari. Il fine era quello di eliminare all’interno dei centri abitati non solo i cattivi odori ma anche e soprattutto il rischio di epidemie, essendo spesso questi rivi delle fogne a cielo aperto. Così risolsero il problema, costruendo una “tomba” a queste acque inquinate per convogliarle nei corsi d’acqua maggiori.

La mappa dei fiumi “tombati” in Italia

Di seguito una mappa delle zone che presentano maggiori rischi, riportata da Alice Bellincioni su Giornalettismo.

Nord

Nella regione Lombardia, i corsi d’acqua “tombati” o cementificati sono l’Olona, il Seveso e il Lambro. In Veneto sono cementificati o chiusi da ponti il Bacchiglione e il Retrone a Vicenza. In Liguria, “tombati” sono il Bisagno e il torrente Fereggiano. Sempre in provincia di Genova, è cementificato anche il torrente Sturla. In Emilia Romagna, sono chiusi il Taro e il Torrente Parma, “tombati” il Ravone, l’Aposa e il Canale Reno a Bologna. Chiuso anche il Marecchia, a Rimini. La Toscana è la regione con la maggior concentrazione di situazioni a rischio. I corsi d’acqua da tenere sotto controllo sono il Carrione a Carrara, il Bocchetta e il Ricortola a Massa, il Serchio a Lucca, il Rio Ardenza e il Rio Maggiore a Lucca. Esistono torrenti “tombati” anche a Firenze.

Centro-nord

Nelle Marche è chiuso il Misa a Senigallia e “tombato” il Giano a Fabriano.

Sud

In Campania sono “tombati” il Rio Tollore a Ischia, il Simeto a Napoli e i torrenti Mercatello e Grancano a Salerno. Cementificato o chiuso il Sarno. Da tenere sotto controllo, in Calabria, l’Esaro a Crotone, il Beltrame a Soverato, il Valanidi e il Fiumara Annunziata a Reggio Calabria. In Sicilia, situazioni rischiosa per vari torrenti “tombati” a Messina, a Barcellona Pozzo di Grotto e anche a Palermo, dove sono chiusi il Kemonia e il Papireto. In Sardegna è “tombato” a Cagliari il Rio Nou, ad Olbia sono da osservare controllo il Rio Siligheddu e il Gadduresu.

L’aumento del fenomeno dovuto all’urbanizzazione selvaggia

Tra XIX e XX secolo questo espediente si diffuse molto rapidamente nelle piccole e grandi città. Molti fiumi furono “eliminati” per lasciare spazio a interi quartieri fatti di case, strade e viali. Negli anni del boom economico e poi negli anni Settanta e Ottanta l’esigenza di un’urbanizzazione a tutti i costi ha fatto il resto. Contava costruire, edificare nuovi spazi urbani, anche a costo di modificare l’assetto naturale del territorio. Molti fiumi e corsi d’acqua furono deviati, alcuni cementificati, altri prosciugati e “resi edificabili”. Quelli invece non coperti subirono la cementificazione degli argini, i loro alvei subirono modifiche e restrizioni e furono cambiati nel loro aspetto dalla costruzioni di ponti ed edifici. Sempre per rispondere alle nuove esigenze demografiche, molte aree paludose dove si espandevano le acque in eccesso portate dai fiumi furono prosciugate ed utilizzate per costruire.

Il cambiamento climatico amplifica i danni da deturpazione del territorio naturale

Il processo di modifica del territorio che dura da secoli presenta ogni anno e sempre di più il conto in termini di vite e di danni a persone e cose. Il processo di impermeabilizzazione del territorio ha portato, stando ai dati del 2015/2016, ad una riduzione del territorio naturale in favore di quello artificiale, che cresce con una media di trenta ettari al giorno. La natura però non si lascia condizionare dalle scelte umane. Il cambiamento climatico in atto prevede periodi di forti siccità e poi periodi di  intense precipitazioni. Quando ciò avviene le acque non trovano più il loro percorso naturale verso le falde sotterranee, ostruite dal cemento ed allora, non riuscendo a scorrere negli angusti canali in cui l’uomo avrebbe volute convogliarle, spazzano via case, edifici e purtroppo persone. L’acqua del fiume “tombato” crea un’esplosione i cui effetti sono noti anche dalla cronaca di questi ultimi giorni.

Le soluzioni possibili

La situazione vigente in Italia è preoccupante. Difficilmente sarebbe possibile ora ripristinare le condizioni del territorio naturale antecedenti agli interventi urbanistici ed idraulici realizzati nel corso della nostra storia. Si può però tenere sotto controllo la situazione e vigilare nelle aree più a rischio. Le aree più preoccupanti sono quelle delle regioni del Sud in cui gli interventi sono stati qualitativamente peggiori. Intanto con l’operazione “Italiasicura” il governo ha investito fondi per 9400 cantieri, aperti in tutto il Paese e monitorati dalla task force governativa.

Il piano “Italiasicura”

Il Piano nazionale delle opere e degli interventi arricchito dal Piano finanziario per la riduzione del rischio idrogeologico è stato presentato lo scorso 10 maggio a Palazzo Chigi. Ad illustrare il progetto, il Ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi e il Coordinatore della Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, Erasmo D’Angelis. Si tratta di un piano nazionale di opere e interventi e di un piano finanziario per la riduzione del rischio idrogeologico.

Il piano governativo in un volume

Il progetto è illustrato in un volume di 608 pagine. In esso si riportano, regione per regione, l’elenco delle opere, il loro costo e lo stato di avanzamento dei progetti e dei cantieri. Inoltre il sito del progetto governativo riporta una mappa in continuo aggiornamento dei cantieri in corso sul territorio nazionale.

Le soluzioni auspicabili

Un’altra soluzione meno fattibile ma sicuramente più affascinante è quella di una “rinaturalizzazione” del territorio. Un esempio a tal proposito è la Germania. Qui infatti si stanziano fondi per “rinaturalizzare” i corsi d’acqua. Vengono demoliti gli interventi di cementificazione sugli argini dei fiumi, si ripristinano le aree di espansione, si piantano sulle sponde alberi di alto fusto. Tutto ciò per aumentare la capacità del suolo di trattenere le acque. Interventi ottimali, ma ci si chiede se siano realizzabili nel nostro Paese.

 

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