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L'insostenibile pesantezza di un diritto violato

La libertà di ciascun individuo di poter prendere decisioni sul proprio corpo dovrebbe essere un diritto inalienabile. Dovrebbe, ma se sei una donna e vuoi esercitare il diritto di interrompere volontariamente una gravidanza la tua libertà viene dimezzata, se non addirittura azzerata.
Lo scorso 23 settembre la camera bassa del Parlamento della Polonia ha votato a favore di un disegno di legge che, se fosse stato approvato, avrebbe vietato ogni forma di aborto. In Polonia è stata già approvata nel 1993 una legge sull’aborto previsto solo in tre casi: pericolo di vita per la madre, gravissima malformazione del feto e stupro.
Ciò non significa che in altre situazioni l’interruzione di gravidanza non avvenga, ma si percorre la strada della clandestinità.
Così il 3 ottobre le donne polacche e gruppi di femministe e attiviste hanno indetto uno sciopero generale. Il nome del movimento è Czarny Protest, “proteste in nero”.
Le donne hanno manifestato vestite con abiti neri e con delle grucce tra le mani, spesso usate negli aborti clandestini, per difendere il diritto di poter scegliere liberamente sul proprio corpo.
Dopo la grande marcia di protesta, il Parlamento ha fatto un dietrofront, respingendo il disegno di legge.
La situazione non è delle migliori nemmeno in Italia, in cui le sorti delle donne che scelgono l’Ivg (Interruzione volontaria di gravidanza) si scontrano con una realtà degradante e disumana. Nonostante l’aborto sia previsto dalla legge 194 del 1978, non tutte le strutture pubbliche ne assicurano la pratica.
Gli ostacoli sono parecchi, dalla presenza o meno nello staff ospedaliero di medici e infermieri obiettori al luogo geografico preso in considerazione. I dati riferiscono picchi altissimi di obiettori di coscienza nel Molise con il 93,3%, nella provincia di Bolzano con il 92,9% e in Basilicata con il 90,2%.
Iniziano così i tragici viaggi da un punto all’altro del Paese in cerca di una struttura che garantisca il rispetto di un diritto, come se la scelta di non volere o di non poter avere un figlio fosse una colpa da espiare attraverso l’umiliazione, il dolore e la vergogna.
Un medico abortista viene molto spesso denunciato di omicidio dai colleghi, non ha possibilità di fare carriera, è emarginato, viene considerato un medico che si arricchisce generando morte.
Eppure gli italiani con il referendum sull’aborto del 17 maggio 1981 hanno già scelto che fosse un diritto della donna decidere se portare a termine una gravidanza o meno, trattandosi del suo corpo. Hanno capito che occorreva mettere fine agli aborti clandestini e alle loro pratiche rischiosissime.
Si è arrivati con lotte dolorose alla legge 194, sono trascorsi 38 anni e ancora viene negato un diritto sancito per legge.
Proprio per questo esistono ancora centri che praticano aborti clandestini, oppure si ricorre all’assunzione di farmaci fai-da-te che come effetto collaterale provocano contrazioni uterine che generano l’aborto.
La scelta dettata dall’ideologia e non dalla deontologica di ogni singolo medico diventa un peso che ricade sul corpo delle donne e sul loro libero arbitrio.

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