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Precariato italiano: un inferno senza tempo e senza età

Vaghiamo indisturbati nella speranza che si possa continuare a sperare. Speriamo che questo apparentemente infinito vagare abbia una fine. Una fine che possa essere accogliente e sicura come un porto dopo una lunga tempesta. Dopo tutti questi anni in crisi, forse dal 2008 – anno in cui l’America fece uno starnuto e il mondo prese la febbre – chi vive in precariato è arrivato al capolinea. Non quello sperato, purtroppo, ma quello della fine di ogni briciola di pazienza.
In un Paese in cui nonni, genitori e bisnonni sono partiti con una foto, tanti sacrifici e un bagaglio vuoto da arricchire, oggi non ci resta che fare altrettanto. C’è chi li definisce “cervelli in fuga”, chi li chiama “terroni”, in realtà i terroni siamo ognuno di noi, se pensiamo che in questo mondo si è sempre a Sud di qualcuno.
Ma che cos’è il precariato? Essere precari, vivere precariamente, cosa vuol dire? Partiamo dal principio. Semmai non fosse un cane che si morde la coda.
Il termine ‘precario’ è indicato nel vocabolario come “Soggetto a venir meno, incerto, aleatorio” quando si presenta nella veste di aggettivo. “In ambito lavorativo, provvisorio e privo di garanzie”, prosegue la voce. E ancora, come ‘nome’ – assolutamente dequalificante – precario è “Chi ha un rapporto di lavoro provvisorio e non garantito”. In pratica precario è chiunque non abbia la possibilità di progettare. Il presente, figuriamoci il domani. Nell’incertezza del contratto – quando esiste e quando è effettivo – si poggia l’esistenza di individui concreti, a differenza del contratto, spesso si poggia la vita di intere famiglie, più propriamente bocche di minori da sfamare. Ma questo è un altro problema, un’altra storia.
Quanti sono i lavorati precari in Italia? Difficile dirlo, quanto difficile potrebbe essere fissare l’asta della pazienza delle persone che vivono in precariato. Perché, ovviamente, non si possono calcolare quanti sono i lavoratori ‘a nero’. Ad ogni modo, quelli calcolati nel 2013 erano un bell’esercito agguerrito: 3,3 milioni e i numeri negli ultimi anni hanno continuato la scalata verso la follia. Qui si corre il rischio di ‘dare i numeri’, sul serio. Nonostante i successi del Jobs Act decantati dal governo, la realtà è ben diversa. Si parla di una situazione che ha raggiunto il suo massimo storico. Resteremo nella storia, dunque. Secondo l’Istat, infatti, nel 2015 il numero di precari ha raggiunto il massimo storico da quando esistono dati in proposito. Una notizia da sgranare gli occhi.
E mentre informazione e controinformazione si fanno spazio nelle nostre giornate tremendamente incerte, si va avanti, sempre avanti, cercando di guardare il lato positivo della vita e che magari resiste la possibilità di continuare a cercare. Come talpe scavano nel terriccio, i precari scavano nel mare in tempesta al confine con il lavoro – che bella parola! – e tra una bracciata e l’altra sperano di poter finalmente avvistare un faro. Non ci sono progetti, non ci sono investimenti, non ci sono risparmi. Non ci sono vacanze, non esiste movida, solo una parola: precariato. L’Italia è nota per essere un Paese vecchio. E male non è, perché la saggezza si ripone nell’età avanzata. Siamo un Paese di saggi, non un Paese di vecchi. Ma da qualunque punto tu voglia vedere la cosa, ciò che resta fermo e intoccabile è che i giovani spendono. Perché vogliono mangiare la vita a grandi morsi, se dalle statistiche risulta il contrario è semplicemente tutto merito del precariato. Perché se i giovani non hanno da spendere, si fermano e l’economia di un Paese resta ferma con loro. O comunque scorre lentamente, molto lentamente.
Ma no, in questo mondo di precari i giovani passano per ‘bamboccioni’ e gli adulti per ‘poveri disgraziati’. La verità è che in quest’oceano di false speranze ognuno ha imparato a tirare acqua al suo mulino: il pubblico oramai è terreno per pochi eletti – o per pochi ricchi – e il privato ha fatto scuola tra sgravi fiscali, lavoro in nero, tirocini e chi più ne ha più ne metta. Una ‘bella’ matassa da sciogliere ha il nostro governo, ma in fondo lui è bello che riparato su una nave da crociera. Come pretende che dall’alto di quei corridoi possa vedere cosa succede nelle barchette alla deriva?

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