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Emigrati di ieri e immigrati di oggi: due mondi paralleli ‘in crisi’, per cercare 'fortuna' e portarla altrove

Alcuni pensano che vivono agli angoli delle strade. Che si muovono in gruppi consistenti e che vivono in baracche o alla stazione ferroviaria. Ci fanno credere che sono proprio la causa della confusione che viviamo e viviamo credendo che siano confusione, caos e – perché no? – malavita. “Vengono qua e ci rubano il lavoro, i mariti, fanno solo guai”, parole che sentiamo dire quotidianamente. Di chi stiamo parlando? Di mostri o esseri umani particolarmente cattivi?
Sono loro, gli immigrati. Loro, che nel silenzio del buon senso, del timore, a volte della buona educazione che noi occidentali abituati agli agi e ai confort stiamo perdendo, si muovono in punta di piedi. Spesso scappano da tragedie, guerre, fame. Per salvarsi e sopravvivere guardano in faccia alla morte. Sono loro, quelli che ritroviamo agli angoli delle strade con il sorriso e tanta cortesia, alcuni riescono a ‘fare la giornata’ svolgendo mansioni meno qualificate, poco qualificanti e sottopagate. Soprattutto poco – per non dire ‘per nulla’ – ambite da noi italiani. Oppure sono i nostri vicini di casa, i compagni di classe, gli amici, quelli più fortunati che sono riusciti a stabilirsi qui – raramente per sempre – per trovare un po’ di pace. Noi, cosa pensiamo che sia la loro pace? Poter lavorare degnamente, vale a dire con il sudore della fronte, avere una casa, la famiglia accanto e poter vedere crescere i propri figli. Spesso un sogno per loro vuol dire racimolare qualche soldo in Italia e mandarlo ai propri figli in patria, almeno per farli sopravvivere. Dove abbiamo lasciato la solidarietà? Che fine ha fatto il buon senso, lo spirito di accoglienza che ci ha accompagnato per anni – per cultura, per quello che noi italiani abbiamo vissuto prima di loro?
Tra il XIX e il XX secolo l’Italia è stata teatro del fenomeno inverso all’immigrazione. Tra il 1860 e il 1885 più di 10 milioni di italiani sono emigrati per cercare lavoro. Fortuna, un po’ di pace, quella che ti permette di vedere i tuoi figli crescere e non consunti dalla fame, spesso ti permetteva solo di sapere che in Italia crescevano. Emigrazione americana prima, emigrazione europea poi – a partire dagli anni ’50 del ‘900 – gli italiani si sono spostati in modo massiccio, tanto da poter definire l’insieme di questi spostamenti ‘esodo’. Qualcuno sostiene che nel secondo Dopoguerra in Svizzera si potevano incontrare cartelli con su scritto “Vietato agli italiani!”. Eppure, oggi la Svizzera è di grande esempio per integrazione e multiculturalismo. Forse si è moralmente evoluta. Forse gli italiani hanno cambiato abitudini. Forse qualcuno ha capito che le migrazioni fanno bene a tutti.
Provando ad applicare questo esempio – relativamente, o comunque rivestendolo della situazione attuale – sorge una considerazione. Al di là dei valori, della buona educazione, e soprattutto della consapevolezza che questo mondo non ci appartiene piuttosto siamo semplici ospiti più o meno fortunati, è importante tener presente che mentre l’occupazione italiana cala, a seguito dell’ultima crisi innescata nel 2008, la quota di lavoratori stranieri è l’unica a crescere. Tra i Paesi europei solo in Italia la variazione positiva del numero di occupati nel 2014 (+0,4% rispetto al 2013) è da attribuirsi esclusivamente agli stranieri, nonostante essi svolgano lavori poco qualificati e con stipendi ridotti. E che noi italiani – salvo casi rari – non siamo più intenzionati a svolgere. Siamo pigri? Svogliati? Capricciosi? Gli ultimi rapporti sul mercato del lavoro degli immigrati dimostrano tutt’altro. Non siamo cambiati, è il lavoro che cambia e noi dobbiamo adeguarci. La società, in particolare dagli anni ’80, si è aperta a nuovi orizzonti culturali grazie alla fonte che sembrerebbe rinnovabile all’infinito: la tecnologia. Prima le macchine hanno sostituito l’uomo – e continuano a farlo – ora gli uomini sostituiscono altri uomini, ma solo perché i primi si impegnano ad occupare altri settori. I lavori manuali vanno per le basse remunerazioni? È il mercato del lavoro che lo permette, forse una buona amministrazione bilancerebbe meglio domanda e offerta. Ma tra sprechi, ‘bustarelle’ e furti sottomano ad oggi sembra la vera utopia. Intanto, noi ‘comuni mortali’ non dobbiamo assumerci colpe, ma solo nel provare risentimento e rancori – che altrove si chiamerebbero senz’altro con altri nomi – verso persone che non solo hanno bisogno di aiuto, piuttosto vengono a darci una mano. La mano che raccoglierà, che renderà, che proverà a risollevare dalla crisi e si rivestirà di tessuto calloso per gli sforzi quotidiani. Una certa tipologia di mano che gli italiani hanno sempre meno.

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