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Cicchitto, il “dopo Brexit” e la gestione europea dell'immigrazione

Il presidente della Commissione Affari esteri e comunitari della Camera dei Deputati, Fabrizio Cicchitto, ha incontrato questa mattina una delegazione del Gruppo parlamentare di amicizia Svizzera Italia, guidata dal presidente Filippo Lombardi e composta dal vicepresidente Marco Chiesa e dai deputati Kathy Riklin, Silva Semadeni, e Claude Janiak. Per la parte italiana del gruppo dell’Unione interparlamentare era presente il deputato eletto all’estero nella circoscrizione Europa, Gianni Farina. Al centro del colloquio è stata l’analisi del “dopo Brexit” e della gestione europea dell'immigrazione in quanto fenomeno decisivo per l’esito del referendum svizzero del 9 febbraio 2014 sul contingentamento dei lavoratori stranieri, che ha modificato la Costituzione elvetica alterando gli accordi tra Svizzera ed Unione europea in tema di libera circolazione. Per il presidente Cicchitto l'incontro è stato l'occasione, dopo l’intervento di ieri in Aula sulle comunicazioni del presidente Renzi, per una lettura del referendum britannico nella dinamica interna, ad esito di un dibattito politico nazionale caratterizzato da mero tatticismo e sull’onda di una grave spaccatura sociale, e nella dinamica esterna, come sviluppo della crisi di un’Unione europea gravata dall’austerità economica e dall'assenza di una politica comune sull'immigrazione. Il presidente Lombardi ha integrato questa analisi individuando come terzo fattore il dirigismo istituzionale e il dogmatismo di Bruxelles, chiusa a formule flessibili e a clausole di salvaguardia richieste, ad esempio in tema di circolazione delle persone, dagli Stati. Tuttavia, se è vero che il più ridotto territorio e il venir meno di un tessuto industriale altamente produttivo e competitivo hanno inciso sulla capacità della Svizzera di assorbire positivamente la presenza di stranieri, per il presidente Cicchitto “non saranno da sole le clausole di salvaguardia, i contingentamenti o le quote a consentire la soluzione di un fenomeno di dimensioni globali che richiede come tali misure globali, a partire da una politica economica espansiva e da un “Piano Marshall” per i Paesi instabili del Mediterraneo, come proposto dall’Italia con il Migration Compact seppur con almeno vent’anni di ritardo”.

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