Dicono sia meglio ricevere una verità che uccide, piuttosto che una bugia che illude. Ma quando siamo noi a dover parlare è davvero così? La verità rende liberi, sebbene prima possa rendere infelici. E la libertà è la più alta meta da raggiungere, sin da quando l’uomo è stato uomo su questa Terra. Ma se è vero che verità corrisponde a libertà perché è così difficile dirla?
Tutti almeno una volta nella vita hanno detto una bugia. Che sia per paura, per inganno, o semplicemente per non dispiacere l’altro. Si dicono e si ricevono, le bugie volano di orecchio in orecchio come un’ape sui fiori in primavera. È difficile ammetterlo, è difficile capirlo, ma quando siamo noi le vittime di una bugia – scoperta, riconosciuta, quasi mai rivelata – saremmo disposti a pagare cara la verità che si nasconde dietro. Sin dall’antichità se ne sono occupati filosofi, psicologi, teologi, del calibro di Socrate, Nietzsche, Ekman. Nessuno, sino ad oggi, è riuscito a trovare un metodo infallibile e scientifico in grado di smascherare nasi lunghi e gambe corte, nemmeno Leonard Keeler, inventore della macchina della verità. Questo strumento, attuo a misurare e registrare pressione del sangue, polso arterioso e respirazione di un individuo sottoposto a una serie di domande, viene largamente utilizzato da alcuni governi come quello statunitense. All’aumento del battito cardiaco – respiratorio il rilevatore segnala la bugia. E non solo. Il corpo secerne sudore, la pressione sanguigna aumenta, fisiologicamente avvertiamo un disagio, come un dolore improvviso. Dunque, sembra che quando mentiamo il nostro corpo “soffra”. E perché allora continuiamo a tramandare la frase delle frasi, di generazione in generazione: la verità fa male?