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Un funerale e sei detenuti suicidi in trenta giorni

Roma – Si potrebbe dire che d'estate i mass media vanno in vacanza e il dramma che sei detenuti si sono tolti la vita in un mese nelle nostre “civili” e “democratiche” galere non interessa a nessuno. Il nostro è veramente uno strano paese se ci s'indigna di più per un funerale in stile zingaresco o “mafioso” o alla Totò che per la morte di sei persone nelle mani dello Stato.  In questi giorni si pensa che i detenuti conducono la vita più “sicura” al mondo, forse anche perché è difficile che facciano un incidente stradale. Eppure i dati dicono che i detenuti si tolgono la vita e muoiono più delle persone libere. Nessuno però dice nulla del fatto che hanno buoni motivi per farlo perché il carcere in Italia non insegna molte cose, ma una cosa la sa fare molto bene, sa “convincerti” a toglierti la vita. Spesso i detenuti si domandano perché devono continuare a vivere anziché farla finita con una vita che tanto spesso è un inferno. E ammazzarsi non è affatto una domanda, ma una risposta perché per un detenuto a volte è più importante morire che vivere, per mettere fine allo schifo che ha intorno. Il Ministro della giustizia Andrea Orlando da poco ha istituito gli Stati generali sull'esecuzione della pena. Sono stati formati diciotto tavoli e sono state coinvolte valide personalità del mondo della cultura, della magistratura, del volontariato, della politica e dell'amministrazione penitenziaria. Spero che qualcuno di loro si domandi perché molti detenuti in Italia preferiscono morire piuttosto che vivere. Io lo so. E se volete saperlo anche voi scendete nei gironi più bassi dell'inferno e scoprirete un mondo da Medioevo, ma con meno umanità di allora.

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