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I paesi fantasmi dell'Italia: curiosità di un territorio da scoprire

Viterbo – Protagonisti del sito,”paesifantasmi.it” gestito dal geologo Fabio Di Bitonto, sono gli ex centri abitati senza ormai più abitanti, borghi e paesini sparsi lungo il territorio e spesso sconosciuti anche alle cartine geografiche. Abbandonate a causa di calamità naturali, crollo della natalità e spostamenti di massa verso aree limitrofe che offrivano opportunità di lavoro migliori, le ''ghost town'' italiane secondo l'Istat sono più o meno un migliaio, cifra che schizza a seimila se si contano anche stazzi e alpeggi.
Il simbolo dei paesi fantasmi si trova nel Lazio: si tratta, ovviamente, di Civita di Bagnoregio, la città che muore, collegata con l'esterno soltanto da un ponte che si può attraversare a piedi, come a voler respingere l'avanzata di un mondo ingrato che corre troppo veloce fuori da quelle mura.
''La città che muore ma non è morta – si legge sul sito paesifantasmi.it – la fama di Civita di Bagnoregio la condanna a un'agonia lunga anni che non la fa morire, come un malato terminale cui viene somministrata una terapia del dolore''.
Scorrendo i nomi, ecco spuntare altre link che rimandano al territorio viterbese. La Celleno vecchia, che sorge a pochi passi da quella conosciuta ai più, condannata allo spopolamento sul finire dell'800 da una serie di gravi epidemie seguite da un terremoto. E il vecchio borgo di Chia, che fece innamorare Pier Paolo Pasolini negli anni '60 ai tempi del Vangelo secondo Matteo. Arrampicato su uno sperone roccioso, rientra teoricamente nel nucleo urbano abitato, ma vive in pratica in costante equilibrio tra abbandono e ripopolamento.
Infine Norchia, animato da testimonianze etrusche romane, importante centro rurale nel Medioevo e poi caduto in disgrazia nel '400, forse a causa della diffusione della malaria. Solo nel Lazio, i paesi fantasma sono una dozzina. Alcuni sono ancora rallegrati dalla presenza di qualche stoico abitante aggrappato alle proprie origini, altri sono diventati luoghi di villeggiatura estiva. Alle volte è necessario ricorrere alle indicazioni di qualche indigeno per trovarli, in barba ai navigatori satellitari.

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