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Jolly Rosso – Aspetti contraddittori emergono dalle testimonianze

Genova – Si è svolta ieri mattina, 18 gennaio, la prima udienza del 2013 del processo intentato alla giornalista de La7 Lavinia Bruno, al portavoce dell’Associazione “Natale De Grazia” Gianfranco Posa e a Francesco Fonti, collaboratore di giustizia, persona considerata affiliata alla ‘ndrangheta calabrese, nel quadro dell’inchiesta sulle cosiddette “navi dei veleni” e in particolare sulla motonave “Rosso” della società “Messina di Navigazione”, che ha citato per diffamazione le tre persone in merito a un’intervista effettuata dalla giornalista.
Alla presenza del giudice monocratico Nicoletta Cardino e degli avvocati delle parti (Busuito difensore di Lavinia Bruno, Cotugno difensore di Francesco Fonti e Bosso difensore di Gianfranco Posa), si è dato ascolto all’intervista in oggetto – nella quale compare anche la vedova del comandante Natale De Grazia (misteriosamente scomparso mentre indagava proprio sulla nave “Rosso”), quindi si è proceduto alla deposizione del legale rappresentante della Società Messina, Andrea Gais.
La deposizione è stata incentrata sul supposto avvelenamento del fiume Oliva e sul presunto scarico di sostanze velenose nel territorio di Amantea, sulla costa ionica della Calabria, in seguito allo spiaggiamento della nave “Rosso”, cosa che avrebbe determinato un sensibile aumento delle patologie tumorali con alcune vittime, in particolare a causa della presenza di Cesio 137 contenuto in bidoni di scorie che sarebbero stati parte del carico della nave della società Messina. Questo è quanto viene esposto nella trasmissione de La7, che la Messina di Navigazione, per bocca del teste Andrea Gais, nega nel modo più assoluto e che costituisce appunto motivo della denuncia per diffamazione, oggetto del processo.
Durante la lunga deposizione del rappresentante della Società Messina sono emersi diversi elementi di contraddizione che al momento sono al vaglio degli avvocati. Fra questi la misteriosa sparizione della nota di carico della nave, durante i concitati momenti del naufragio, che sarebbe stato causato da un carrello che, nella stiva, avrebbe rotto le dotazioni di sicurezza e provocato una falla nello scafo. La nota di carico della merce sarebbe stata riscritta in base alle memorie del primo ufficiale della nave, dato che il documento non sarebbe mai più stato ritrovato. La stessa deposizione avrebbe invece rivelato la presenza di un altro documento sospetto, che il pm Cotugno ha definito come “un progetto elaborato e firmato da Giorgio Comerio nel quale erano meticolosamente annotati tutti i punti del Mar Tirreno favorevoli all’affondamento della nave”. Una carta che il rappresentante della Messina di Navigazione invece ha dichiarato inesistente e semmai frutto di un malinteso in quanto le uniche carte presenti a bordo erano le consuete carte nautiche rilasciate dall’Istituto Idrografico della Marina che, dopo i controlli del caso, sono state regolarmente restituite al comandante della nave.
A questo punto sorge però un dubbio: il nome di Giorgio Comerio è stato collegato anche all’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin a Mogadiscio, durante un’indagine proprio su un traffico di rifiuti tossici e armamenti dall’Italia alla Somalia, e nel quale si suppone la presenza anche di navi che potrebbero appartenere alla Società Messina. Che legame esisterebbe quindi fra Giorgio Comerio e la Società Messina? Secondo il testimone, Andrea Gais, nessun legame, in quanto la persona di Comerio è stata definita totalmente sconosciuta rispetto alla stessa Messina e C. che ha prodotto un voluminoso memoriale nel quale sono annotate tutte le osservazioni del caso, comprese le inchieste della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia, nonché le osservazioni circa il fatto che la nave era stata noleggiata per conto di una società terza, la Monteco, per effettuate trasporto di rifiuti pericolosi costituiti principalmente da tabacco e succhi di frutta avariati, per conto del governo italiano.
Parte della deposizione è stata anche dedicata al fermo al quale la nave è stata sottoposta per diversi mesi nel porto di La Spezia, prima del viaggio in cui è avvenuto il cosiddetto “sinistro di mare”. A La Spezia la nave è stata bloccata in conseguenza della mancanza delle necessarie autorizzazioni rilasciate dalla IMO (International Maritime Organization) che – stranamente – sono giunte nel giro di 24 ore, a fronte di una procedura solitamente meticolosa. E a La Spezia pare fosse diretto il comandante Natale De Grazia che, com’è noto, morì in circostanze ancora oggi avvolte nel più fitto mistero. Nelle precedenti inchieste, comunque, la Messina di Navigazione è sempre stata scagionata, prima delle archiviazioni del 2000 e del 2009 (indagine della Procura di Paola e del pm Greco), nonostante le rivelazioni del pentito, Francesco Fonti, il quale – nell’intervista rilasciata alla giornalista Lavinia Bruno – ha affermato con la massima decisione, che la nave “Jolly Rosso” non doveva spiaggiarsi, ma avrebbe dovuto affondare con il suo carico in un punto stabilito, come avvenuto per diverse altre navi, fra le quali la motonave “Rigel”, anch’essa oggetto delle indagini del comandante De Grazia. Secondo le dichiarazioni del pentito, proprio in conseguenza dell’imprevisto spiaggiamento, sarebbero passate 24 ore prima che le autorità del posto, carabinieri, Guardia di Finanza e vigili del fuoco, intervenissero per porre sotto sequestro l’area. Il tempo necessario, secondo le rivelazioni di Francesco Fonti, per permettere di far sparire il carico incriminato. Per parte della società Messina invece, Andrea Gais ha sottolineato che le autorità e la Capitaneria di Porto, perfettamente informate a seguito della precedente comunicazione dalla nave stessa in difficoltà, hanno provveduto immediatamente a circoscrivere l’area dello spiaggiamento, e come hanno affermato anche gli ammiragli Pollastrini e La Rosa, comandanti nazionali delle Capitanerie di Porto.
Gli avvocati delle parti hanno convenuto di dover prendere visione del voluminoso memoriale della Società Messina prima di procedere con eventuali mozioni sul caso, e per focalizzare e verificare le numerose note contraddittorie che sono state evidenziate nel corso dell’udienza stessa, in particolare le differenze di opinione sul carico della nave, a proposito del quale si parla di 20 container, poi di 25, poi di 9 misteriosi contenitori pieni. Il giudice Nicoletta Cardino ha rinviato il dibattimento al giorno 8 febbraio.

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