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Monte Paschi – “Pasticciaccio brutto” o “armonioso groviglio”?

Lo scrittore romano, o meglio romanesco, Carlo Emilio Gadda lo avrebbe definito “Quel pasticciaccio brutto di Rocca Salimbeni”, mentre Stefano Bisi, venerabile riconosciuto della massoneria senese, fra le più importanti e influenti della “comunità” del Grande Oriente d'Italia, lo definisce invece un “armonioso groviglio”.
Di sicuro Stefano Bisi se ne intende, in quanto da anni dirige da redazione del “Corriere di Siena” che, guarda caso, si trova esattamente a metà strada fra la stessa Rocca Salimbeni, sede della dirigenza generale della Banca Monte Paschi, e Palazzo Sansedoni, sede della Fondazione Monte Paschi di Siena.
Bisi se ne intende, e di questo “armonioso groviglio” spiega i reconditi aspetti. In pratica si tratta di un sistema che, dagli ormai lontani anni Settanta del secolo scorso, favorisce l'afflusso di benessere a città e provincia, con una spartizione calcolata di oneri e onori. Inizialmente l'assetto era stabilito  con la sinistra gli enti locali, e la banca ai democristiani. In seguito, con il cambiamento e la comparsa dei post-comunisti e dei post-democristiani, fondamentalmente l'accordo è rimasto invariato, grazie all'egemonia garante di poche e selezionatissime lobby e famiglie potenti.
Per molto tempo “i cattivoni” del centro-destra hanno tentato l'assedio alla rocca, senza riuscire nell'intento, tuttavia è sempre stato un principio basilare quello di utilizzare la diplomazia e l'arte del compromesso, specialmente quando vi è un'alta posta in gioco. Almeno in teoria, perché Siena è rimasta comunque feudo incontrastato del sistema di centro-sinistra, meglio definito sistema dalemiano che, a quanto pare, sfruttava ogni occasione, Palio compreso, come strumento per spartizioni varie di potere, di risorse, oppure per stringere o disfare alleanze.
Tutto è andato avanti così per anni, ma adesso è scoppiato il caso e a Siena è piovuto il caos.
La Fondazione Monte Paschi, familiarmente soprannominata “la mucchina”, ora è gravata da oltre 1 miliardo di euro di debito, il prezzo da pagare per la scelta di avere voluto prendere parte alle decisioni del gotha della finanza (Mediobanca) e per riuscire a conservare il controllo dell'istituto bancario MPS.
E a tremare non è solo la Fondazione, ma anche la stessa Banca MPS, che deve reperire oltre 3,2 miliardi di euro per il previsto aumento di capitale, come da direttive della EBA (Autorità Bancaria Europea). Come conseguenza, il titolo azionario MPS, che poco meno di 5 anni fa era quotato 3,5 euro, adesso vale circa 25 centesimi e il bilancio dello scorso anno è stato chiuso con la perdita di 4,69 miliardi.
Dalla Banca, alla Fondazione, anche altri “pentoloni bollenti” vengono a poco a poco scoperchiati: l'Università di Siena ha un accumulo di circa 200 milioni di euro di debito e un'indagine ancora in corso che vede indagati i due predecessori dell'attuale Rettore Angelo Riccaboni, ovvero Silvano Focardi e Piero Tosi.
E poi sono arrivati Alessandro Profumo (sostenuto anche da Rosy Bindi) e Fabrizio Viola, rispettivamente nel ruolo di presidente e di direttore generale/amministratore delegato. Il primo proveniente da Unicredit, il secondo da Banca dell'Emilia Romagna. Da notare che nei 600 anni e oltre di storia della banca Monte Paschi, la carica di amministratore delegato non è mai esistita prima di Viola. Unico a non approvare la nomina di Profumo è stato il già presidente della Fondazione, Gabriello Mancini, insieme a due democristiani che contano nell'ambiente senese, i fratelli Alfredo e Alberto Monaci. Il motivo è oltremodo chiaro: di questi ultimi, il primo era designato alla vice-presidenza della banca, superato nel rush finale da Marco Turchi (fedele esponente della sinistra locale e figlio dello storico revisore dei conti del PCI), patrocinato dal sindaco Franco Ceccuzzi.
A margine di tutto questo, Giuseppe Mussari, dalla presidenza della Fondazione si tira indietro e passa ai vertici della Associazione Bancaria Italiana e da molti indicato come capro espiatorio per la disastrosa operazione di acquisizione della Banca Antonveneta, oggetto dell'inchiesta in corso, per avere “sprecato” oltre 9 miliardi di euro quando il valore di mercato della stessa Antonveneta era di circa 2,3 miliardi.
Forse non molti ne sono a conoscenza, ma l'operazione di acquisizione era stata caldamente consigliata da Ettore Gotti, oggi presidente della Banca Vaticana, lo IOR, che per conto del Banco di Santander aveva contattato MPS per l'acquisto. E Mussari, da parte sua, si difende dicendo che l'affare Antonveneta era assolutamente necessario per non perdere terreno rispetto a Unicredit e Intesa San Paolo. Un'operazione conclusa a prezzo decisamente maggiorato, e poco prima dello scoppio della crisi economica.
Ora, nelle attuali condizioni, la Fondazione è scesa dal 50% al 36,3% come azionista di maggioranza della Banca, ed è stato anche necessario ipotecare gli stessi titoli azionari della banca.
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